STUDENTI A PROVA DI QUARANTENA 3

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Nei post precedenti abbiamo visto come le colleghe e i colleghi di CPO che hanno deciso di tornare a casa per il lockdown hanno affrontato il periodo della quarantena con il rammarico di dover interrompere la vita universitaria, di lasciare Urbino e i compagni di corso. Il rientro forzato, come si legge dalle testimonianze, non ha comunque impedito di proseguire le lezioni in modalità online e di passare un po’ di tempo insieme alla propria famiglia. Ma, come sappiamo, la quarantena non è stata uguale per tutti. In questo post ci concentriamo sui racconti di chi si è diviso tra Urbino e casa propria, affrontando il viaggio per raggiungere la propria famiglia nel momento in cui è stato dichiarato lo stato d’emergenza e di chi invece ha deciso di affrontare il lockdown da Urbino. Come hanno vissuto il viaggio di rientro coloro che hanno lasciato Urbino? E, invece, cosa ha spinto gli altri a rimanere e come hanno passato le loro giornate?

#RITORNOACASA parte 3

I colleghi che hanno deciso di rientrare a casa hanno lasciato Urbino nel momento in cui si sono accorti che anche in Italia la situazione iniziava a farsi complessa. Venivano dichiarate le prime zone rosse, attivate le misure di distanziamento sociale e si cominciava a prendere consapevolezza del reale stato di emergenza.


Sono tornato a casa un giorno prima che la provincia di Pesaro-Urbino diventasse zona rossa, esattamente il 7 marzo. Ho deciso di rientrare usando il pullman per Fiumicino, ho pensato che in quel momento fosse l’opzione più sicura, proprio per evitare di partire da Bologna o Milano che erano già zone ad alto rischio contagio in quel momento e alcuni comuni di quelle zone erano già zona rossa” (Luca A. II anno CPO, Sassari).


“Sono tornata a casa il 5 marzo, ho preso un aereo Perugia-Catania, ho comprato il biglietto un giorno prima di partire perché sono stata indecisa fino alla fine, non riuscivo a capire quanto lo stato di emergenza fosse serio. Per fortuna un mio collega è riuscito ad accompagnarmi in macchina fino a Perugia in modo tale da evitare di prendere il minor numero di mezzi pubblici possibili” (Chiara C., II anno CPO, Caltanissetta).


“Le prime due settimane avevo molta molta paura di avere il Covid e di aver contagiato tutti. Sono rientrata il 2 marzo, poco tempo dopo che avevano proclamato la chiusura dell’Università a Urbino. Ho deciso di rientrare in aereo perché sono sarda. Quando sono tornata in Sardegna il 2 marzo, le frontiere erano ancora aperte e nessuno s’immaginava una situazione così grave ed epocale. Ero convinta di rientrare a Urbino, e a dirla tutta ero tornata giù solo per stare con il mio ragazzo, approfittando dello stop delle lezioni e del fatto che il ristorante dove lavoravo non mi stava chiamando al lavoro per la scarsa circolazione dei clienti. Pensavo di tornare ad Urbino il 5 marzo, ma il mio ragazzo mi ha convinta e posticipare il volo per il 7 marzo.
Ancora il lockdown non era stato annunciato per tutti. Così io, partita da Urbino, passata per Rimini e Bologna, e atterrata a Cagliari, per una settimana sono allegramente andata in giro normalmente, vedendo amici e parenti. Il 7 marzo ho deciso solo per puro caso, di non prendere quell’aereo per tornare a Urbino, e l’8 marzo ho ricevuto l’ordine di stare chiusa in casa per 14 giorni con assoluto rigore. Mi sono sentita una vera idiota per il rischio che ho fatto correre a tutti. Non ho dormito per giorni” (Veronica F., II anno CPO, Cagliari).

Studenti in isolamento (volontario)

I miei colleghi rientrati a casa dopo un primo periodo di permanenza a Urbino sono stati i primi a iniziare la quarantena. Arrivando da una regione diversa da quella di origine hanno rispettato le prime misure di distanziamento sociale passando le prime due settimane di isolamento cercando di avere pochi contatti anche con i propri familiari.


 
“Inizialmente ho passato quindici giorni da solo nella casa in campagna poiché mi sono autodenunciato in modo da attivare la quarantena (questo imponeva il decreto regionale per chiunque arrivasse in Sardegna dalle cosiddette “zone rosse”). In quel periodo sono stato abbastanza bene, il tempo era sereno e c’era molta pace in campagna, questo colmava, in parte, il fatto di essere da solo. Una volta terminata la quarantena sono tornato a casa con la mia famiglia, ovviamente ci sono stati momenti felici come momenti tristi a causa dei litigi con i miei genitori, dovuti quasi tutti dal totale isolamento obbligatorio all’interno della casa, però, in generale, devo dire che l’ho vissuta abbastanza bene” (Luca A. II anno CPO, Sassari).


“La quarantena è stata molto pesante, non sono più abituata a vivere con la mia famiglia da 5 anni, quindi mi è mancata la mia indipendenza e la mia privacy, però riflettendoci successivamente, sono contenta di aver vissuto questo periodo a casa con la mia famiglia. Ho sofferto maggiormente le prime due settimane, perché venendo da Urbino che era stata dichiarata zona rossa, ho dovuto dichiarare il mio rientro e sono dovuta stare due settimane in quarantena obbligata ancora prima che scattasse per tutti cercando di evitare troppi contatti con i miei familiari” (Chiara C., II anno CPO, Caltanissetta).


“Devo dire che la convivenza con la mia famiglia è stata molto altalenante, ho vissuto sia momenti pacifici che qualche litigata, ma nel complesso direi che non è andata male” (Veronica F., II anno CPO, Cagliari).
Foto di Luca

Ci troviamo su Zoom

Come sappiamo l’emergenza ha contribuito alla diffusione e all’uso delle piattaforme online come Zoom e Meet, sia per la didattica a distanza, sia per mantenere i contatti e affrontare il distanziamento sociale che grazie alla tecnologia è risultato essere più un distanziamento fisico che sociale. Tutto questo ha permesso di mantenere vivo il legame che si è creato tra i colleghi di CPO durante la vita universitaria ad Urbino.


“Gruppo Vacanze Urbino sempre presente , ci siamo sempre confrontati tramite il gruppo WhatsApp che abbiamo, sia per questione universitarie che per farci forza durante questo periodo di sospensione. Diciamo che all’inizio è stato un po’ strano svolgere le lezioni online, con il tempo ci ho fatto l’abitudine e ormai era la normalità accendere il computer per collegarsi con la lezione in streaming” (Luca A., II anno CPO, Sassari).


“Sì, fortunatamente abbiamo mantenuto un legame grazie alla tecnologia, però avrei preferito sicuramente stare con loro 24 ore su 24 tra biblioteche, cene, aule e andando in giro per Urbino. I miss you! La didattica online devo dire che tutto sommato è andata bene perché fortunatamente ho seguito solo due corsi. Anche se si è trattato di due laboratori, quindi è stato difficile perché ovviamente è indispensabile la compresenza quando si deve svolgere lavori di gruppo o in generale per avere feedback istantanei” (Chiara C., II anno CPO, Caltanissetta).


“Con i colleghi ci siamo sempre sentiti su WhatsApp, anche se talvolta (forse io) in modo un po’ scostante. Ma non ci siamo assolutamente persi. Ho assistito alle lezioni online di due soli corsi, e sono andate abbastanza bene. Certe lezioni sono state molto interessanti, altre meno e sono riuscita poco a prendere appunti, ma non è stato poi così stressante. Talvolta noioso. Per quanto riguarda tenere i contatti con i professori, ecco forse quello è stato un po’ difficile: ricevere i feedback dai professori non è stata una cosa veloce come forse ci saremmo aspettati. Ma in un periodo come questo è bene armarsi di pazienza e riuscire a mettersi nei panni di tutti, anche dei professori” (Veronica F., II anno CPO, Cagliari).
Foto di Chiara

Affrontare il lockdown emotivo

L’ultimo anno di università è da sempre un momento di transizione, una fase di passaggio importante. La quarantena ha sicuramente amplificato questa condizione e ha portato tutti noi studenti a riflettere molto, c’è stato chi ha reagito in maniera produttiva, cercando di riempire le proprie giornate e chi si è ritrovato in un lockdown non solo fisico, ma anche emotivo.


Ritengo che sia stato un lockdown produttivo, ho letto svariati libri e ho iniziato a guardare varie serie su Netflix (farà strano, ma non avevo mai usato Netflix per guardare serie TV prima dell’emergenza), quindi è stato un po’ come fare una nuova scoperta. Ho imparato anche a gestire meglio il mio tempo, soprattutto durante la quarantena in campagna dove non c’era molto da fare. Cercavo di crearmi degli impegni per occupare l’intera giornata senza lasciare che la noia o, peggio ancora, la solitudine prendessero il sopravvento. Una cosa che mi viene da dire è #celafaremo. Scherzi a parte vorrei dire che mi ha fatto davvero strano come abbia avuto inizio tutta questa situazione. È successo tutto davvero molto in fretta, dallo stare a Urbino con tutti i programmi in mente per il futuro, mi sono ritrovato da solo nella casa in campagna lontano da una realtà che fino a pochissimo tempo prima sembrava certa al 100%” (Luca A., II anno CPO, Sassari).


“Il mio lockdown è stato quasi totalmente emotivo: non sono riuscita ad applicarmi molto nello studio. Ho riflettuto molto sulla mia identità, sui miei stati d’animo: mi sono ritrovata catapultata nella mia realtà natale, dopo anni in giro per l’Italia e per l’Europa. Il coronavirus ha sconvolto i miei piani e quelli di chiunque, però penso sia stato un bene finalmente fermarsi e dedicarsi ad una introspezione profonda” (Chiara C., II anno CPO, Caltanissetta).


“Il lockdown è stato emotivo. Ora che possiamo uscire di casa forse ne sto risentendo di più, in realtà. Mi stanno scivolando di mano un bel po’ di certezze che ero convinta di avere e il mio morale è molto altalenante” (Veronica F., II anno CPO, Cagliari).

Dai racconti emerge la naturale ambivalenza fra il senso di responsabilità e il disagio emotivo provocato dal dover affrontare una situazione così nuova e inaspettata per tutti. Chi ha trascorso un primo periodo a Urbino, dopo la dichiarazione dello stato di emergenza in Italia e l’individuazione delle zone rosse, ha affrontato il rientro in isolamento volontario per poi ricongiungersi alle famiglie. Sembra proprio che si sia sentita la mancanza della vita universitaria e dei colleghi. Ma il distanziamento fisico non si è tradotto in tutto e per tutto nel distanziamento sociale, diventato ormai parte del nostro lessico. Lezioni online, incontri e attività gestite dalle piattaforme hanno permesso di mantenere relazioni, di lavorare e studiare.

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